Donna, Vita, Libertà #Iran

Donna, Vita, Libertà #Iran

Scritto da Parisa Nazari, mediatrice interculturale iraniana, associazione “Donne per la dignità”.

Sono passati alcuni mesi da quando Mahsa Amini è stata uccisa. Il suo nome curdo era Jina, significa Vita. Ma Mahsa è stata uccisa, ha perso la vita per mano della polizia morale della repubblica islamica iraniana: una forza di polizia che di morale non ha nulla.

È stata arrestata il 13 settembre e il 16 è morta. La sua foto su un letto di ospedale priva di coscienza ha fatto il giro del mondo e, in poche ore, è diventata un’icona della lotta per la libertà e la dignità delle donne e di tutti gli oppressi; un simbolo per ogni donna iraniana che decide di uscire di casa senza coprire completamente il corpo, sapendo che rischia di subire ogni forma di violenza fisica e psicologica fino a morire.

Essere “malvelata” in Iran è una forma disobbedienza civile, una manifestazione della lotta contro la violazione dei diritti fondamentali delle donne: una violazione sistematica, che non si limita all’obbligo del velo ma invade ogni settore della vita privata e pubblica.

Il 13 settembre scorso Mahsa, come migliaia di donne prima di lei, è stata portata contro la sua volontà in un centro di detenzione per essere “rieducata” al codice di abbigliamento islamico, secondo l’interpretazione della sharia sulla quale si basa la costituzione iraniana dalla rivoluzione islamica del 1979. Per il reato di “spargere la corruzione sulla terra”, cioè mostrarsi in pubblico con un aspetto appariscente e indurre gli uomini in peccato – facendo intravedere, ad esempio, le forme del corpo con un soprabito corto, o lasciando sfuggire una ciocca di capelli da un foulard non abbastanza coprente – è prevista una pena che va da una multa a una detenzione più o meno lunga, e a volte un certo numero di frustate. Ci sono molti studiosi dei testi sacri dell’Islam che, citando versi del Corano, sostengono che non esista nessuna costrizione per chi desidera praticare la religione, tanto meno l’obbligo per le donne di coprirsi il corpo e i capelli. Ma chi legifera in Iran dal 1979 non la pensa come loro.

Ma perché una parte del clero sostiene che i capelli di una donna possano indurre l’uomo in peccato e, di conseguenza, una donna credente abbia l’obbligo di essere praticamente invisibile per essere considerata pudica e guadagnarsi il paradiso? In realtà, il corpo della donna in Iran era considerato oggetto dell’esercizio di potere dello Stato anche prima del 1979. Un esempio lampante è stata la kashfe hejab, una controversa legge varata nel 1935 per volontà di Reza Shah Pahlavi, padre dell’ultimo shah, nonché fondatore della dinastia Pahlavi. Si trattava di una legge che vietava l’uso di ogni forma di velo per le donne, nell’ambito di un programma per lo sviluppo dei diritti delle donne e la modernizzazione, piuttosto forzata, della società iraniana dell’epoca. Allora molte donne credenti che portavano il velo con convinzione si sono viste costrette a rimanere chiuse in casa per non rischiare di essere fermate dalla polizia, che toglieva loro il velo usando la forza; altre sono ricorse adescamotage come portare grandi cappelli o una parrucca. Sembra che per gli uomini il corpo della donna sia, in un modo o nell’altro, da sempre il terreno su cui esercitare il potere in Iran, e non solo in Iran. Allo stesso modo, la lotta delle donne iraniane per l’emancipazione può farsi risalire già all’inizio del Novecento, con la nascita del movimento costituzionalista e le prime battaglie per i diritti fondamentali.

Oggi in Iran le donne rischiano la vita per avere libertà di scelta, e gli uomini sono al loro fianco. Una parte sempre crescente della società civile rifiuta la sistematica violazione dei diritti umani, testimoniata con evidenza dalle immagini che riescono a sfuggire ai tentativi di blocco della rete da parte delle autorità. Fiumi umani si riversano sulle strade iraniane, gridando a gran voce il nome di Mahsa Amini e Donna, Vita, Libertà: uno slogan che racchiude in sé l’essenza di una mobilitazione estremamente pacifica, una lotta per la libertà e contro ogni forma di violenza, una battaglia femminista, ma che accoglie tutti gli uomini che credono che non possa esistere un mondo libero e democratico fin quando la dignità della donna viene lesa.

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