Vicenza, quando una protesta è efficace

Prima di valutarne le caratteristiche esaminiamo i numeri, che sono notevoli: la protesta del 17 febbraio, nonostante una fallimentare campagna che tendeva ad accomunare pacifisti con terroristi, è cresciuta di cinque volte nel giro di due mesi rispetto alla manifestazione precedente che già contava alcune decine di migliaia di persone.

 

 

 

C’è poi la situazione sul campo a Vicenza, poco nota, ma interessante: un comitato di cittadini per ogni quartiere, continue assemblee, riunioni organizzative con centinaia di partecipanti, l’ avvio della protesta settimanale di fronte alla Caserma Ederle, un presidio permanente nei pressi dell’area Dal Molin, partiti e sindacati attraversati dal dissenso, radio impegnate, siti internet alternativi, pubblicazioni in italiano ed inglese in cantiere, boicottaggi economici, primi tentativi di scioperi dei lavoratori, il rafforzamento dei collegamenti con i gruppi americani ed altre efficaci tecniche combinate di politica dell’azione nonviolenta …

 

A Vicenza la gente si incontra e si informa. Quasi ogni giorno ci sono convegni affollati e conferenze partecipate con ospiti prestigiosi e già diverse iniziative in programma per i prossimi mesi in tutta la provincia. Si sa già che gruppi da tutta Italia sono pronti a tornare a Vicenza all’occorrenza facendo scattare un “patto di mutuo soccorso” ed è circolata insistentemente la volontà del movimento contro la base militare di fermare fisicamente i lavori se dovessero iniziare. Questo tipo di mobilitazioni pacifiche oggi sono molto efficaci: con queste tecniche, e gli americani lo sanno bene, gli studenti serbi hanno contribuito a far cadere un regime armato fino ai denti. Nessun governo resiste nel tempo a una popolazione contraria e lo abbiamo visto a Scanzano, in Val di Susa per citare alcuni casi recenti molto noti. I comitati vicentini lo hanno detto a più riprese: “Resisteremo un minuto di più”.

 

Vicenza è cambiata e la situazione non è reversibile. Il governo non è mai venuto a vedere cosa succede in questa bella città, ma si è limitato ad imporre con l’inganno, ad aggirare le proteste e a non valutare le alternative civili ragionevolmente proposte.

 

Ma gli elementi a favore della mobilitazione non finiscono qui. C’è infatti la crisi del Pentagono: gli USA non sanno più dove costruire queste nuove enormi basi che incontrano oggi maggiori resistenze locali. La gente lo sa, sono dichiaratamente offensive, causano inquinamento e problemi gravi, di ogni tipo. Il discorso su presunti vantaggi economici non ha convinto e da studioso di basi militari mi sento di smentirlo, in quanto queste strutture vivono grazie a enormi flussi di denaro pubblico e varie spese a carico dei civili, anche quelli del paese “ospitante” che in Italia pagano quasi la metà delle spese di stazionamento delle truppe. Ma non è ancora tutto: c’è il governo Bush, che di democratico non ha neanche il nome, che non si può dire goda di consensi popolari ed arranca nella fretta di concludere progetti di guerra che hanno portato ovunque solo disastri umani ed ambientali. I soldati al fronte sono stanchi e molti vorrebbero tornare a casa dalle proprie famiglie, crescono dubbi, rifiuti, diserzioni. Ma Bush non aveva detto cha bastavano due settimane “a finire il lavoro”?

 

La politica estera-militare non è più una situazione lontana, ma condiziona pesantemente la vita di ogni giorno. Più spese militari come deciso dal governo Prodi significa meno risorse per l’economia civile, anche nella vita di ogni giorno per i civili. Il clima sta cambiando, in tutti i sensi, e siamo passati dimensione spettacolare della protesta alle mobilitazioni consapevoli ed efficaci dettate dalle emergenze politiche ed ecologiche. I governi sembrano gli ultimi ad averlo capito: i progetti militari sono oggi in totale opposizione a quelli civili, i riscontri non mancano, a cominciare dalle centinaia di migliaia di vittime civili delle guerre di questi anni.

 

di Andrea Licata, presidente del Centro Studi e Ricerche per la Pace dell’Università di Trieste

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