Verso una tesoreria etica e disarmata

Pur trattandosi solo di una voce – che nel caso specifico del Comune di Pavia contribuiva per soli tre punti su un totale di 100 – l’idea si distingueva per due motivi: introduceva un ulteriore criterio etico nella scelta dell’Istituto di credito a cui affidare il servizio e, soprattutto, aggiungeva un nuovo attore alla pressione che da tre anni la Campagna “banche armate” stava facendo agli Istituti di credito in materia di trasparenza sul finanziamento e l’appoggio al commercio delle armi.

 

 

 

Un’idea semplice e – visti i primi risultati – forse anche un po’ donchisciottesca: nonostante l’innovazione, la tesoreria del Comune di Pavia veniva infatti assegnata a quella che al tempo era ancora una “banca armata”. Ma l’iniziativa, grazie al tam-tam della Rete di Lilliput, si trasformava in un’esperienza apripista tanto da diventare presto una nuova campagna: la Campagna “Tesorerie disarmate”. Anche in questo caso, come per la Campagna di pressione alle “banche armate”, la diffusione avveniva grazie alla buona volontà di tanti cittadini che stimolavano gli amministratori pubblici: già da tempo da Lecco a Fano erano stati presentati ordini del giorno e interrogazioni ai Consigli comunali e provinciali per impegnare le giunte a non attribuire servizi economico-finanziari ad Istituti di credito che appoggiano o finanziano il commercio di armi. Il ragionamento è semplice: l’ente locale è un ente pubblico e, in quanto tale, deve promuovere non solo il benessere della comunità locale, ma anche sostenere quei valori che stanno alla base della convivenza: tra questi la solidarietà e la pace. E, il commercio delle armi, anche legale e autorizzato, non raramente contraddice questi valori. Basti ricordare che nel quinquennio 2000-2005 quasi la metà delle armi italiane è finita a Paesi del Sud del mondo, spesso altamente indebitati ma che spendono ingenti somme in spese militari, in zone di tensione e con regimi se non dittatoriali, molto lontani dal poter essere definiti “democratici”. Un esempio? Tra i primi dieci acquirenti di armi italiane del 2005 sette Paesi sono del Sud del mondo (India, Pakistan, Egitto, Oman, Emirati Arabi, Singapore e Turchia) e Medio Oriente e Asia hanno assorbito il 40% delle esportazioni di armi “made in Italy” per un valore complessivo di oltre 546 milioni di euro.

 

LA CAMPAGNA
Come nel caso della Campagna di pressione alle “banche armate”, anche per le “tesorerie disarmate” la pubblicità all’iniziativa non nasceva da una “regia” nella stanza dei bottoni, ma dall’informazione personale, diffusa, capillare. E soprattutto documentata e puntuale. La base della Campagna è stata infatti la comunicazione tra le diverse reti della società civile delle informazioni offerte dall’annuale Relazione della Presidenza del Consiglio sull’esportazione di italiana armi. È da lì che le due campagne ricavano l’elenco degli Istituti di credito che offrono servizi in appoggio al commercio di armi. Servizi dai quali le banche lucrano “compensi di intermediazione”, con percentuali maggiori nel caso di Paesi più esposti a rischio di insolvenza. Un vero affare quello delle armi, per le ditte produttrici, ma anche per le banche che solo negli ultimi tre anni hanno registrato “compensi di intermediazione” per un totale di quasi 100 milioni di euro. Paradossalmente, proprio il progetto del governo Berlusconi di riforma della legge 185/90 – che regolamenta l’esportazione di armi – forniva l’occasione per far conoscere le istanze della campagna a numerose associazioni ed enti locali impegnati sui temi della pace.

 

LA REAZIONE DELLE BANCHE E DELL’INDUSTRIA ARMIERA
Ma col diffondersi delle due campagne crescevano anche le rimostranze da parte dell’industria armiera e dello stesso mondo bancario che cominciavano a non gradire la “pubblicità” loro riservata dalla Relazione annuale. Una chiara eco di queste rimostranze appariva nella Relazione della Presidenza del Consiglio sull’esportazione di armi del 2005 secondo la quale la decisione «di buona parte degli istituti bancari nazionali di non effettuare più, o quantomeno, limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l’import o l’export di materiali d’armamento» non solo stava creando «notevoli difficoltà operative» all’industria della Difesa «tanto da costringerla ad operare con banche non residenti in Italia», ma addirittura rendeva «più gravoso e a volte impossibile il controllo finanziario delle operazioni previste dalla legge 185/90». In altre parole, il risultato delle campagne sarebbe stato quello di inficiare, se non impedire, le possibilità di controllo da parte del Ministero competente: l’esatto opposto di quello che le campagne si prefiggevano. Ho già avuto modo di mostrare l’infondatezza e la pretestuosità di queste affermazioni (cfr. MO 5/2005 pp. 9-10); le ho richiamate qui perché, insieme con gli attacchi di alcuni quotidiani finanziari, rappresentano un sintomo del nervosismo del mondo armiero e bancario nei confronti delle due campagne.

 

UNA DIFFUSIONE LENTA MA TENACE
La Campagna “Tesorerie disarmate” si stava intanto diffondendo. Già prima del Comune di Pavia, la Provincia di Savona nel marzo del 2003 aveva aderito alla campagna “rendendo pubblica la propria adesione, promuovendo l’adesione di altri Enti Pubblici e verificando se la propria banca sostiene l’export di armi”. Seguiva il Comune di Ladispoli che nel capitolato di gara per la tesoreria del maggio 2004 introduceva «punteggi maggiori a quegli istituti e/o gruppi bancari che risultassero esclusi dall’elenco delle ‘banche armate’». E, nel settembre dello stesso anno, il Consiglio comunale di Firenze approvava una “mozione sulla finanza etica” proposta dalla consigliera Ornella De Zordo, della lista dei movimenti “Unaltracittà/Unaltromondo”, che obbliga il Comune di Firenze a «definire un regolamento comunale che impedisca all’amministrazione di intrattenere rapporti economici con le cosiddette ‘banche armate’ ». L’iniziativa si diffondeva anche a piccoli comuni come quello di Monsano, in provincia di Ancona, che tra le condizioni per l’ammissione alla gara per la tesoreria, chiedeva agli Istituti di credito una dichiarazione formale di “non avere effettuato nel biennio 2004-2005, e di non intrattenere nel periodo di affidamento del servizio di Tesoreria, transazioni bancarie in materia di esportazione di materiale di armamento”.

 

UN NUOVO MODELLO: LA PROVINCIA DI ROMA
Un ulteriore impulso veniva dal primo Convegno nazionale della Campagna “banche armate” organizzato nel gennaio 2006 a Roma: gli assessorati del Comune e Provincia di Roma e della Regione Lazio che patrocinavano l’evento si facevano portavoce dell’iniziativa nelle rispettive sedi. E la Provincia di Roma cominciava a predisporre uno schema di convenzione – approvato lo scorso novembre con il voto favorevole anche dell’opposizione – che si distingue per due novità: la prima consiste nella volontà dichiarata che “il servizio di Tesoreria dovrà essere svolto secondo principi etici”; la seconda sta nel particolare riferimento “alla necessità di non far confluire i fondi di tesoreria” e gli stessi “utili derivanti dalla gestione del servizio in oggetto” “nel canale del commercio degli armamenti” oltre che in “attività gravemente lesive della salute, dell’ambiente, della tutela dei minori e dell’infanzia o fondate sulla repressione delle libertà civili”. Definito grazie anche ad un costante confronto con la Campagna “banche armate” ed altre realtà impegnate nella finanza etica, il bando della Tesoreria prevede che venga valutato in sede di aggiudicazione “il miglior progetto che consenta all’Amministrazione provinciale la reale applicazione di tali principi”. Nel frattempo anche altri Enti locali approvano ordini del giorno e bandi di gara che prevedono un “premio” per le banche che non commerciano in armi: in questa linea, ad esempio, i Comuni di Pesaro e di Padova e, di recente l’Amministrazione comunale di Faenza che ha avviato la buona prassi di attivare mutui bancari per finanziare le proprie opere pubbliche privilegiando le cosiddette “banche non armate” ed ha assunto l’impegno di applicare tale criterio anche per le gare relative al servizio di Tesoreria.

 

PER UNA TESORERIA ETICA E DISARMATA
L’idea, insomma, si sta diffondendo, ma c’è bisogno di un duplice salto di qualità. L’attribuzione nei bandi di Tesoreria di uno specifico punteggio per requisiti etici e di trasparenza è stato finora un criterio importante, ma non sufficiente, a precludere la funzione a quegli Istituti di credito che sono attivi nel finanziamento e nei servizi d’appoggio al commercio delle armi. In base solo a questo criterio, infatti, diversi Enti locali che nei propri bandi avevano penalizzato con punteggi negativi le banche che svolgono attività collegate alla produzione e al commercio di armi si sono poi trovati a dover affidare la propria Tesoreria proprio ad uno di quegli Istituti di credito che avrebbero inteso escludere perché, talvolta anche solo per pochi punti, tali istituti finivano col prevalere nel computo globale del punteggio del concorso.

A questo riguardo lo “schema di convenzione” della Provincia di Roma che prevede un servizio di Tesoreria da svolgersi secondo “principi etici” rappresenta un’interessante novità da studiare attentamente (cfr. articolo seguente). Non va dimenticato, in proposito, che se in base alla normativa europea non è possibile escludere a priori dal bando di Tesoreria quegli Istituti di credito che – in ottemperanza alla legislazione vigente – forniscono servizi a favore della produzione e del commercio di armi, nulla vieta che un ente locale possa definire un insieme di nuovi criteri volti a favorire quelle banche effettivamente impegnate sul fronte della trasparenza e della responsabilità etica.

Ma, pur spostando l’attenzione alla “responsabilità etica” di un Istituto di credito, occorre non perdere di vista quello che consideriamo un criterio decisivo e discriminante nella scelta di una Tesoreria: la non fornitura di servizi alla produzione e al commercio delle armi. L’assunzione di criteri di “responsabilità etica” da parte di un Istituto di credito va cioè specificata in contenuti precisi e in scelte coerenti che effettivamente mostrino che una banca non solo ha adottato “buone pratiche”, ma contemporaneamente ha escluso tutta una serie di pratiche che, sia pur legali, considera non in linea con i propri principi etici. E il non sostegno alla produzione e al commercio delle armi è e rimane una “cartina di tornasole”, un “indicatore/filtro” distintivo e discriminante dell’eticità di una banca: non solo perché verificabile attraverso il più autorevole strumento legislativo (la Relazione annuale della Presidenza del Consiglio), ma perché mostra chiaramente la decisione di un Istituto di credito di voler tagliare il cordone con un sistema come quello della produzione di armi che è strettamente connesso ad un modello di sviluppo contrario al modello solidaristico e conviviale che intende proporre con scelte di “responsabilità etica”.

La “forza” della Campagna di pressione alle “banche armate” è stata ed è proprio quella di aver interpellato tutti gli Istituti di credito – nessuno escluso – su questo criterio di coerenza: se oggi sono numerose le banche che si sono dotate di bilanci sociali e di codici e comitati etici, rimangono però ancora poche quelle che non solo hanno dichiarato, ma che di fatto escludono il commercio di armi dai loro servizi. Un segno evidente che anche la “responsabilità etica” può diventare una scappatoia per continuare a fare gli stessi affari di prima.
Alla Campagna “tesorerie disarmate” – e a tutti gli Enti locali che intendono aderirvi – spetta oggi un nuovo compito: quello di trovare gli strumenti idonei per poter scegliere non solo una “tesoreria etica”, ma una “tesoreria etica e disarmata”.

 

 

“Tesorerie disarmate”: i modelli
In questi anni gli In questi anni gli Enti locali hanno proposto diversi modelli per “tesorerie disarmate”. Eccoli:
1. PUNTEGGIO: l’ente locale attribuisce nel bando un punteggio positivo a quelle banche che risultano “non aver effettuato” operazioni di appoggio al commercio delle armi. Se è positivo l’intento, il criterio non è di per sè escludente le “banche armate” che possono aggiudicarsi la Tesoreria grazie a migliori prestazioni in altri ambiti.
2. AUTOCERTIFICAZIONE: l’ente locale chiede alle banche di autocertificare la non fornitura di servizi a ditte che producono e commerciano armi. Più restrittivo del punteggio, può portare all’esclusione di queste banche.
3. ESCLUSIONE: lo schema di convenzione dell’Ente specifica la scelta di non voler intrattenere rapporti con le cosiddette “banche armate”. Riesce a escludere queste banche, ma potrebbe anche incorrere in ricorsi.
4. TESORERIA ETICA: lo schema di convenzione riporta diversi “criteri etici” e, attraverso un punteggio nel bando, assegna la Tesoreria al miglior progetto etico presentato dalle banche. Positivo per l’ampia istanza etica, è da vedere se è in grado di assegnare il servizio ad una banca “non armata”.

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