Il cacciabombardiere F35 e la sconfitta dell’Europa

 

Il Cacciabombardiere F35

Il nuovo anno sembra essere iniziato nel migliore dei modi per Finmeccanica, che ha ricevuto da Roma il disco verde per le attività legate al cacciabombardiere del futuro: l’americano F35 Lightning II. La decisione assunta dal governo Prodi dovrebbe avere spazzato via definitivamente la nuvolaglia che di tanto in tanto tornava a farsi minacciosa su questo programma di primissima importanza, non solo per l’Aeronautica (che tra qualche anno dovrà sostituire Amx e Tornado), ma anche per la Marina (che, senza, rischierebbe di trovarsi per la seconda volta nella sua storia recente con una portaerei senza aerei).

 

 

 

Se ai militari è stata data una certezza che rasserena gli animi, l’intero establishment politico e industriale dell’Europa occidentale dovrebbe assumersi le proprie responsabilità e prendere atto di una verità sconcertante: l’F35 si configura come la più colossale débâcle industriale del XXI secolo. Una débâcle, ovviamente, da intendersi non nei termini canonici del fallimento industriale o della crisi occupazionale. Al contrario, il Lightning II costituirà alla fine un eccellente prodotto con importanti ricadute sui consorziati, garantendo la pagnotta a ingegneri e operai in molti Paesi dell’area euroatlantica (Italia inclusa). La débâcle deve essere vista in tutta la sua portata nella opportunità che l’Europa ha clamorosamente mancato per dare spessore e continuità ai progetti della sua industria aerospaziale.

 

Che quella opportunità fosse gigantesca lo fanno capire i numeri in questione. Il mercato potenziale per il Joint Strike Fighter viene valutato in 5-6.000 velivoli, da vendere nei prossimi 30 anni alle aeronautiche militari di mezzo mondo per rimpiazzare, tra gli altri, anche un best seller diffusissimo come l’F16. Una buona percentuale degli esemplari prodotti entrerà in servizio in Europa, superando certamente il parco macchine dell’Eurofighter. Eppure, a differenza di quanto avvenuto con il nuovissimo caccia europeo, il Vecchio Continente non ha ritenuto necessario avviare un proprio programma.

 

Oltre a essere gigantesca, l’opportunità per avere un Jsf made in Europe era anche evidente. Qualunque mediocre markettaro, illuminato da dosi minime di buon senso e facendo due conti, avrebbe dovuto accorgersi che migliaia di aerei d’attacco sparsi per il mondo sarebbero arrivati al fine vita quasi contemporaneamente, o comunque con tempistiche tali da renderne possibile la sostituzione con un medesimo tipo di aereo.

 

Nonostante tutto, non un dito è stato mosso in Europa. I vertici politici e i colossi industriali hanno rinunciato sul nascere a una impresa più che allettante sotto il profilo economico-industriale e altrettanto opportuna nella prospettiva strategica di raggiungere la piena autonomia (militare e tecnologica) nelle capacità di difesa. Forse mai si era visto un establishment abdicare in maniera tanto grave a quella che dopo tutto era anche una sua responsabilità. E invece oggi ci troviamo di fronte al paradosso puro e semplice: gli Stati Uniti d’America, iperpotenza economico-militare e con un budget per la difesa dalla lunghissima serie di zeri, si stanno facendo pagare parte di un loro programma strategico – il Jsf, appunto – dai propri alleati. Anzi, sono gli stessi europei a supplicare di essere ammessi all’esclusivo club dell’F35.

 

Tre buone ragioni per mettersi in coda sarebbero: la possibilità di intervenire sul progetto (ma chissà quali margini di discussione avrà lasciato il Pentagono o quali requisiti essenziali avranno mai aggiunto gli italiani o gli olandesi alle specifiche statunitensi); la condivisione del know-how (che pure sembra essere materia alquanto controversa); le ricadute occupazionali (ma non sarebbero state maggiori con un progetto tutto europeo?). Detto e fatto, eccoci tutti nel consorzio Jsf ad alleviare gli sforzi del contribuente americano.

 

Di fronte alla realtà dei fatti e a decisioni che appaiono ormai obbligate e condivisibili, la domanda non può che essere una sola: che cosa non ha funzionato in Europa per arrivare a una simile situazione? Risposta uno: la gestazione dell’Eurofighter. Risposta due: il dibattito sull’A400. Per quanto riguarda il primo punto, l’Ef-2000 è stato vittima – in una catena di conseguenze – della Storia (il crollo del Muro di Berlino), di incertezze politiche (revisione del budget) e di qualche negligenza da parte dell’industria aeronautica europea. I problemi ci sono stati e sono stati senza dubbio di forza maggiore, ma certo il consorzio Eurofighter non ha brillato nel provare a superarli.

 

La morale è che dopo 20 anni di progetto e molti miliardi di euro spesi i Typhoon della prima e della seconda serie assomigliano molto, rispettivamente, a prototipi e a velivoli di pre-serie (fonte: forum di Pagine di Difesa). Il crescendo di capacità dovrebbe culminare solo nella terza tranche, che pure avrà capacità di attacco al suolo alquanto limitate. Se l’Eurofighter doveva essere la piattaforma attorno cui sviluppare un velivolo da attacco, si sarebbe dovuti partire per tempo. Si è perso l’attimo, forse, quando nei primi anni Novanta il progetto ha subito una profonda revisione e l’Efa si è trasformato nel Ef-2000 che oggi tutti conosciamo.

 

Quanto andava maturando nell’ambito del Eurofighter potrebbe essere stata la causa delle storture che si sono dette e sentite a proposito del A400. L’errore di prospettiva è stato l’aver focalizzato il dibattito sul futuro della difesa europea, non su un cacciabombardiere di nuova generazione, ma su un semplice aereo da trasporto. L’ingenuità è troppo incredibile per non far pensare alla malizia, cioè alla rinuncia voluta e premeditata a cimentarsi in un nuovo ambizioso progetto per un Jsf tutto europeo, fosse pure derivato dal Eurofighter. Nel frattempo, nei militari si è fatta largo la sindrome del ‘buy american’, legittima reazione di fronte ai bachi provocati dai ritardi del Typhoon (un esempio da manuale: F104 Asa, F104 Asa-M, Tornado Adv, F16). Una volta avviato il circolo vizioso, il ‘buy american’ è diventato terreno fertile per riporre nel F35 le fortune dell’aeronautica militare europea del XXI secolo.

 

A meno che la nostra industria aeronautica si riveli tutto d’un tratto in grado di fare miracoli con gli sviluppi del Eurofighter, l’F35 deve essere considerato ormai una scelta obbligata che sarebbe assurdo non sposare. Paradossali o meno che siano stati, gli investimenti che l’Italia ha fatto nel progetto Jsf dovranno essere il più possibile capitalizzati sotto ogni punto di vista. L’Europa, dal canto suo, mediti a fondo sulla vicenda F35 e si concentri sulla prossima battaglia: gli Ucav. Con i concept Neuron (europeo) e Sky-X (italiano) ci sono tutti gli elementi per poterla giocare alla pari con gli Usa.

 

di Saverio Zuccotti, 8 gennaio 2007

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20 Comments

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