Sotto Palazzo Chigi nel nome della pace

Sotto palazzo chigi

 

Uno di loro si avvicina e chiede cortesemente se ci possiamo spostare. Non capiamo verso dove né perché e rimaniamo nello stesso punto. Il carabiniere desiste nell’azione. Ma veniamo ai messaggi: «La pace è l’unico antidoto per l’orrore», «Stiamo per andare via» (sottinteso, dall’Iraq). E ancora: «Wanted», con tanto di faccione di George W. Bush e bollettino di civili morti in Iraq, tra prima e seconda guerra del golfo, con in mezzo un bell’embargo decennale. Per finire un efficace «Violazione dell’articolo 11 della Costituzione», quello tanto per intenderci che afferma che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

 

 

 

 

Militanti di vecchia data
Sono pochi, si diceva. Qualche ragazzo intento ad accendere dei lumini, qualche militante che si adopera per collegare una fila di bandiere della pace da un lampione a un altro. L’effetto non è male, sembra di vedere un filo del bucato con appesi tanti panni colorati. Tra il gruppo dei militanti si distinguono Nella e Andreina, pacifiste di vecchia data. Andreina è un’amabile signora con i capelli bianchi, che dice: «Io sto qui perché sono convinta che la colpa è di Berlusconi».

 

La Nella espone in modo più ragionato, meno di pancia, le ragioni del sit-in: «Riteniamo che la liberazione degli ostaggi, delle due Simone, debba necessariamente corrispondere alla fine della guerra».

È il grande dilemma che affligge la sinistra. Bertinotti, giusto qualche giorno fa, ha affermato che prima bisogna pensare alla liberazione di Simona Pari e Simona Torretta, poi al ritiro delle truppe italiane. A sinistra si è scatenata, com’era facile presupporre, una raffica di polemiche, ben descritta dalla matita di Vauro sul Manifesto (anche qui molti strascichi polemici, nella redazione di via Tomacelli).

Ma torniamo al dilemma, che Nella non vuole sciogliere. «Io credo che l’unità nazionale è una menzogna di guerra», ci dice. Noi la incalziamo, per capire cosa pensa il movimento della pace, di questa unità nazionale. Non va oltre, si limita a dire che non vuole dare giudizi politici.

 

Dissenso in Rifondazione
Le subentra Nando Simeone, vicepresidente del Consiglio Provinciale di Roma, esponente di Rifondazione. Per lui il piano umanitario e quello politico sono inscindibili. Non serve decodificare per capire che Nando Simeone dissente dalla posizione del suo segretario. E nemmeno gli costa ammetterlo. «I sequestri sono una conseguenza della guerra per cui fermare la guerra – da subito – è la condizione per il rilascio e per la fine dell’orrore». Arriva Paolo Cento, dei Verdi. Intrasentiamo una sua dichiarazione: «Abbiamo chiesto al governo di riferire in Aula e ci auguriamo che faccia “tutto il possibile” per salvare la vita degli ostaggi».

 

Forza Italia contro gli “estremisti”
Nel frattempo il sit-in va avanti, alcuni ragazzi si sdraiano a terra, simulando un bombardamento. I lanci di agenzia, nel pomeriggio, dicevano che ci sarebbe stata anche la sirena. Ma non la si sente. Nella ha un’idea: «Perché non chiediamo alla polizia?». Forse sarebbe una richiesta un po’ azzardata, anche se davvero simpatica. Il popolo della pace è anche questo, sebbene la nomenklatura del centrodestra abbia una visione diversa, un po’ isterica. «Non è con i gesti plateali, con gli striscioni, con i sit-in e con l’esposizione delle foto che si fornisce il contributo o un appello alla liberazione degli ostaggi, bensì con il silenzio e il dialogo intrapreso dalle istituzioni». Così la pensa il coordinatore regionale di Forza Italia Giovani, Daniele Ferranti. Infine un altro “quadro” del centrodestra sostiene che «in queste ore di angoscia in cui l’intera nazione sta trepidando per la sorte di Simona Pari e Simona Torretta, la sinistra estrema non trova di meglio che tornare a chiedere percorsi inaccettabili, come il ritiro delle nostre truppe dall’Iraq». A noi non è sembrato che Nella e Andreina siano estremiste di sinistra.

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