Un pò di storia
Nella storia della nonviolenza italiana GAN non è una sigla nuova. Nei primi anni ’60 un gruppo di sei giovani di diverse città, coordinati da Pietro Pinna, diedero vita al primo Gruppo di Azione Diretta Nonviolenta (appunto, GAN) che mise in difficoltà le questure di mezza Italia, impreparate di fronte ad una modalità di azione inedita nel nostro paese, pose all’ordine del giorno il tema del riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza e sparse i semi per l’introduzione anche in Italia delle tecniche di azione diretta nonviolenta, già sperimentate all’estero. Il gruppo confluì poi nel nascente Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini.
Rinominare GAN i nascenti gruppi lillipuziani, che s’affacciano oggi sulla strada della nonviolenza, significa dunque non partire da zero ma riallacciarsi ad una storia culturale e politica che è all’origine della diffusione in Italia della nonviolenza specifica. Una storia che affonda le radici nel pensiero e nell’opera di Aldo Capitini e, attraverso di lui, nel satyagraha gandhiano.
Il conflitto come cambiamento sociale
Da Seattle in avanti, il conflitto sociale, associato a quello ecologico, è stato assunto da un soggetto politico collettivo internazionale e reticolare che lo agisce nelle strade e nelle piazze. Oggi la posta in gioco è altissima e sempre più chiara e ravvicinata: ne va del futuro prossimo della terra e dei suoi abitanti. In Italia, con i fatti di Genova “il movimento dei movimenti” è entrato nella fase acuta del conflitto, in cui corre da un lato il rischio – già visto tante volte – di involuzione verso derive violente e, dall’altro lato, quello speculare della criminalizzazione e della repressione.
La strategia di trasformazione nonviolenta del conflitto passa, dunque, attraverso la costruzione di azioni dirette nonviolente, che fondano la loro efficacia ed incisività proprio sulla capacità di comunicare a più persone le ragioni della propria iniziativa politica. Esse agiscono tanto sull’avversario, del quale si cerca il cambiamento, quanto su coloro che si considerano neutrali (inconsapevoli del proprio essere i “servitori volontari” del sistema) dei quali si cerca la simpatia, il consenso ed infine l’alleanza. Si tratta, pertanto, di modificare il paradigma del conflitto: passare dalle grandi manifestazioni concentrate ed onnicomprensive alle azioni nonviolente sui territori e su obbiettivi specifici.
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