“Parrocchie disarmate”

Parrocchie disarmate

Eppure, proprio «ai parroci, ai vescovi e ai responsabili di istituti religiosi» si rivolgeva l’appello che ha inaugurato un percorso teso a fare chiarezza su come le banche impiegano i soldi e su come ciascuno di noi indirizza i propri risparmi.
 

 

Si tratta, allora, di rilanciare un impegno. Abbiamo cominciato a farlo lo scorso ottobre, in occasione del Convegno ecclesiale nazionale di Verona, distribuendo un comunicato in cui le parrocchie sono state invitate «a scegliere con maggior oculatezza e attenzione le banche presso cui depositare i propri risparmi o alle quali chiedere contributi per finanziare le loro diverse iniziative».

È necessario ricordare che la Relazione 2006 sull’export di armamenti, a cura delle presidenza del consiglio, sottolinea che, lo scorso anno, il 45% delle esportazioni italiane di armi si sono dirette al sud del mondo, anche a paesi altamente indebitati o colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani. Inoltre, le banche che gestiscono le operazioni di “incassi e pagamenti”, a nome delle aziende produttrici di armi, chiedono ai paesi del sud del mondo compensi di intermediazione più alti rispetto a quelli chiesti ai paesi ricchi.

I tassi variano dal 5 al 10% del costo dell’intera partita.

Riteniamo importante che non solo i singoli cittadini, ma anche realtà come le parrocchie, punti di riferimento di un territorio, adottino una condotta etica che escluda rapporti economico-finanziari con istituti di credito implicati nel commercio d’armi.

È risaputo che le banche si rivolgono sovente alle parrocchie, offrendo condizioni particolarmente favorevoli. Per questo lanciamo due proposte, all’insegna della trasparenza e con l’obiettivo di accrescere il numero delle “parrocchie disarmate”:

1. che le parrocchie rendano noto presso quali istituti di credito depositano i propri risparmi;

2. che il consiglio pastorale parrocchiale chieda a queste banche, tramite lettera pubblica, qual è la loro politica rispetto al commercio delle armi.

Sarebbe un gesto profetico. E direbbe in maniera inequivocabile che, al di sopra di ogni altra cosa, ci sta a cuore il Vangelo. Com’è possibile «rendere credibile l’annuncio di Cristo Risorto» (è l’appello che emerge dal Messaggio finale del Convegno di Verona), se poi affidiamo i nostri risparmi e chiediamo finanziamenti a banche che sostengono la produzione e la vendita di strumenti di morte?

Ci addolora notare come un documento, dal titolo Etica, sviluppo e finanza, pubblicato lo scorso ottobre dall’Ufficio della Conferenza episcopale italiana come contributo alla riflessione per i quarant’anni dell’enciclica Populorum Progressio, abbia del tutto ignorato le proposte che la Campagna “banche armate” va presentando e che parte dello stesso mondo bancario ha accolto come tema di riflessione. Al punto che diverse banche sono giunte ad assumere precisi impegni circa il finanziamento al commercio di armi e a dotarsi di codici etici.

Diocesi, parrocchie e istituti religiosi devono “dis-armare” i loro risparmi e i loro investimenti. E diventare un punto di forza della Campagna, che, nel frattempo, va articolandosi ( vedi articolo pag. 24) e irrobustendosi, anche sul piano organizzativo.

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5 Comments

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